Strumenti deflattivi del contenzioso Tributario

Il legislatore, al  fine di porre rimedio agli effetti  negativi  derivanti  dalla  conflittualità  tra il rapporto Fisco  ed il contribuente, ha  introdotto vari istituti volti a valorizzare un approccio di reciproca collaborazione e cooperazione. Tali istituti, detti strumenti deflativi del contenzioso, sono volti a prevenire sia controversie tra Fisco e contribuente, nei quali rientrano l’autotutela e il ravvedimento operoso, sia di definire contestazioni formalmente avanzate da parte dall’Amministrazione finanziaria, mediante il pagamento del tributo dovuto e dei relativi interessi, ottenendo in cambio una congrua riduzione delle sanzioni applicabili. Rientrano in questo secondo gruppo l’adesione al processo verbale di constatazione, l’invito al contraddittorio, l’accertamento con adesione, l’acquiescenza, il reclamo e la mediazione. Infine, anche la conciliazione giudiziale per la definizione di controversie già in corso. Passando ad analizzare gli istituti suddetti, l’autotutela, in ambito tributario, consiste nel  potere-dovere dell’Amministrazione finanziaria  di annullare un proprio atto che sia illegittimo, errato o infondato. Tra questi rientrano non solo i tipici atti di imposizione, quali gli avvisi di accertamento, di rettifica, di liquidazione, i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni amministrative, ma anche ogni altro atto che incida negativamente nella sfera giuridica del contribuente. L’autotutela può essere attivata su istanza del contribuente, ma è disposta solo dall’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d’ufficio. L’annullamento o la revoca in autotutela può essere totale, se riguarda l’intero atto, che pertanto viene eliminato, o parziale, se riguarda una parte dell’atto che, continua a produrre i suoi effetti per l’altra parte. L’istanza deve esporre, in modo sintetico, i motivi di fatto e/o in diritto per i quali l’atto si reputa illegittimo o infondato, con l’allegazione della documentazione a supporto delle argomentazione e delle ragioni per cui si chiede l’eliminazione dell’atto. In presenza dei presupposti di illegittimità, errori e infondatezza, l’Ufficio può esercitare l’autotutela (Autotutela d’ufficio), disponendola autonomamente senza che sia stata sollecitata dal contribuente. Sia se l’ufficio annulla o revoca l’atto di autotutela sia se rigetta l’stanza diretta all’annullamento, il relativo provvedimento deve essere debitamente motivato L’annullamento dell’atto illegittimo può essere disposto anche se pende un giudizio, anche se l’atto è divenuto definitivo per  decorrenza dei termini di impugnazione e anche se il contribuente ha presentato ricorso e questo è stato respinto per motivi formali con sentenza passata in giudicato.    L’unico limite all’esercizio dell’autotutela sia ha in presenza di una sentenza passata in giudicato che abbia pronunciato sul merito del rapporto tributario cui inerisce l’atto che si vorrebbe annullare. Altro strumento volto a prevenire la controversia tra Fisco e contribuente è il ravvedimento operoso che consiste nella possibilità offerta al contribuente di regolarizzare spontaneamente le violazioni tributarie commesse, attraverso l’effettuazione entro precisi termini temporali, dell’adempimento omesso o irregolarmente eseguito e il contestuale pagamento delle imposte dovute, degli interessi connessi e delle sanzioni che vengono però determinate in misura ridotta. La regolarizzazione è consentita con modalità differenziate, a seconda della natura dell’imposta, del tipo di violazione che si intende sanare e del termine entro il quale si provvede alla sanatoria. Il ravvedimento può riguardare sia le imposte dirette che le imposte indirette, ma anche i tributi locali. Possono essere oggetto di regolarizzazione sia le violazioni sostanziali, cioè quelle relative a errori o omissioni che incidono sulla determinazione e sul pagamento dei tributi che sono rilevabili sia in sede di liquidazione dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione, che in sede di rettifica della dichiarazione presentata dal contribuente, sia le violazioni formali, cioè quelle che non incidono sulla determinazione e sul pagamento dei tributi, ma che possono, comunque ostacolare l’attività di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria. A seconda del tipo di violazione sono previsti sanzioni minime, il termine in cui poter effettuare il ravvedimento, nonché le sanzioni da ravvedimento. In caso di omesso o insufficiente versamento delle imposte dirette e di ogni altro tributo la sanzione minima prevista è del 30% ed in caso di adempimento tramite ravvedimento entro 30 giorni dalla scadenza originariamente stabilita, il pagamento della sanzione è ridotta a 1/10 del minimo. In caso di altri errori e omissioni, anche incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, la regolarizzazione dovrà avvenire entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione stessa nel caso di tributi periodici, oppure quando non è prevista una dichiarazione periodica, entro un anno dalla omissione o dall’errore , nel caso di tributi istantanei, con riduzione della sanzione a 1/8 del minimo. Il contribuente non può usufruire dell’istituto se la violazione è già stata constatata, se sono iniziati accessi, ispezioni o verifiche, se sono iniziate le altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore abbia avuto formale conoscenza. Trattati gli strumenti del primo gruppo, possiamo descrivere quelli del secondo, cioè quelli che permetto di definire contestazioni formalmente avanzate da parte dall’Amministrazione finanziaria, mediante il pagamento del tributo, interessi e sanzioni(in misura ridotta).   L’adesione al processo verbale di constatazione è disciplinato dall’art.5-bis del D.Lgs. 218/1997 e permette al contribuente di prestare adesione ai verbali di constatazione, a condizione che trattasi di violazioni sostanziali con riferimento alla normativa in materia di imposte sui redditi e di Imposta sul Valore Aggiunto. L’adesione deve avvenire entro i 30 giorni successivi la consegna del verbale, mediante comunicazione, entro 60 giorni, al competente Ufficio. Quest’ultimo notifica l’atto di definizione dell’accertamento parziale e entro il termine di 20 giorni successivi la notifica di definizione, il contribuente deve effettuare il versamento della somma dovuta, anche in forma rateale senza la necessità di prestare idonea garanzia. Il contribuente ottiene così la possibilità di ridurre alla metà le sanzioni previste per l’accertamento con adesione, cioè ad 1/6 del minimo editale. Il procedimento è perfezionato quando, una volta pervenuto all’Ufficio la quietanza dell’avvenuto pagamento, questi rilascia al contribuente copia dell’atto con adesione. L’adesione al contenuto del P.V.C. elimina ogni possibilità di sviluppare il contraddittorio nonché la possibilità di effettuare qualsiasi valutazione di carattere giuridico.   Altro strumento deflattivo attraverso il quale viene data la possibilità al contribuente di definire la pretesa del fisco già al momento del ricevimento dell’invito e potendo così beneficiare di una riduzione della sanzione, è la definizione degli inviti a comparire, disciplinato dal D.L. 185/2008. L’invito deve essere notificato al contribuente e deve contenete non solo le indicazioni riferibili alle annualità d’imposta e le imposte poste sotto osservazione, ma anche la data prevista per la comparizione, le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni e interessi in caso di definizione agevolata. Il contribuente può prestare adesione mediante comunicazione al competente ufficio e versamento delle relative somme entro 15 giorni antecedenti la data fissata per la comparizione. Alla comunicazione va allegata la quietanza di pagamento della prima od unica rata, pena l’inammissibilità della richiesta di adesione. L’adesione di perfeziona con la sola comunicazione per cui non è necessario un atto successivo. Unica causa ostativa all’adesione, è l’ipotesi in cui sia stato invitato ad aderire ad un P.V.C. per il quale, però il contribuente non ha ritenuto in passato a procedere con la definizione.   Altro fondamentale è l’accertamento con adesione introdotto dal decreto legislativo del 19 giugno 1997, n. 218,  con  lo scopo, per un verso, di fornire all’Amministrazione finanziaria ed al contribuente uno strumento snello ma, al tempo stesso, garantista, per giungere ad una rapida definizione della pretesa tributaria e, per l’altro, di incrementare il gettito fiscale e ridurre drasticamente il contenzioso tributario.   L’istituto consente di «definire con adesione» del contribuente atti di accertamento, che potrebbero determinare controversie tributarie da risolvere tramite il contenzioso, attraverso la instaurazione di un contraddittorio con l’Ufficio finanziario. Si tratta sostanzialmente di un accordo tra Fisco e contribuente per definire, bonariamente e in modo tendenzialmente stabile, le posizioni pendenti, in cui assume un ruolo rilevante il contraddittorio, che consente alla parti di trovare un punto di  incontro tra i rilevi sollevati dall’Ufficio e le deduzioni difensive addotte dal contribuente, attraverso la rideterminazione delle pretese impositive dell’Ufficio sulla base dei documenti, dati e notizie forniti, nonché sulle argomentazioni esposte, dal contribuente,  al fine di trovare una convergenza sugli imponibili e sulle conseguenti pretese impositive. L’accertamento con adesione si svolge secondo un determinato  iter  procedurale, caratterizzato da una partecipazione attiva del contribuente. In particolare, la procedura è può espletarsi su iniziativa d’ufficio, prima della notifica dell’avviso di accertamento o di rettifica, previo invito al contribuente o su istanza del contribuente dopo l’avvenuta notifica dell’avviso. A fronte dell’invito, il contribuente può presentarsi al contraddittorio, dando avvio alle seconda fase, per discutere la pretesa per addivenire, insieme all’Ufficio, alla rideterminazione del carico impositivo, o aderire, accettando integralmente le risultanze al fine di usufruire della riduzione delle sanzioni a 1/6 del minimo edittale. Se il contraddittorio si conclude senza accordo, l’Ufficio emetterà l’avviso di accertamento avverso il quale, il contribuente proporrà ricorso alla commissione tributaria provinciale . Se le parti raggiungo l’accordo, la procedura si conclude con la redazione di un atto di adesione e si perfeziona con il versamento del dovuto o della prima rata entro 20 giorni dalla redazione dell’atto di adesione. Oltre alla riduzione delle sanzioni, l’accertamento con adesione non è soggetto ad impugnazione da parte del contribuente, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio, inoltre, preclude l’ulteriore azione accertatrice. Esclusione  della  recidiva, cioè  della  possibilità  di  aumentare  la sanzione  fino  alla  metà  nei  confronti  di  chi,  nei  tre  anni precedenti, sia incorso in un’altra violazione della stessa indole. Riduce gli effetti penali perché, per  i  fatti  accertati,  perseguibili  anche  penalmente, costituisce  una  circostanza  attenuante con  il  pagamento  delle  somme  dovute  prima  della dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento  di  primo  grado. L’effetto  “premiale”  si  concretizza  nell’abbattimento  fino  a  un terzo delle sanzioni penali previste e nella non applicazione delle sanzioni accessorie.   Altro istituto facente parte del secondo gruppo è l’acquiescenza, istituto  a mezzo del quale il contribuente  che abbia ricevuto un avviso di accertamento o di liquidazione avente ad oggetto le imposte dirette, l’imposta sul valore aggiunto, l’imposta di registro e l’imposta di successione e donazione , accetta integralmente  le contestazioni contenute nell’atto con contestuale riduzione delle sanzioni, soprattutto nei casi in cui i dati e le valutazioni in esso contenute siano difficilmente contestabili. L’acquiescenza si realizza con il “comportamento concludente”  del contribuente che a seguito della notifica dell’avviso di accertamento o di liquidazione non deve presentare nessuna richiesta all’Ufficio, ma deve rinunciare ad impugnare l’atto con ricorso alla commissione tributaria provinciale, rinunciare a formulare istanza di accertamento con adesione, versare, entro il termine stabilito per la presentazione del ricorso (60 giorni dalla notifica dell’atto più eventuale periodo di sospensione feriale), le somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni (ridotte), in un’unica soluzione oppure, se opta per la forma rateale, corrispondendo la prima rata entro lo stesso termine.   Ultimo istituto del gruppo di recente introduzione è quello del reclamo e mediazione, previsto per le controversie di valore non superiore a 20.000 euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate. Il reclamo è un istituto deflattivo obbligatorio diretto a definire le controversie minori con l’Agenzia delle Entrate attraverso il riesame e un tentativo di mediazione dell’atto da parte di una struttura della Direzione provinciale o regionale diversa e autonoma rispetto a quella che curato la predisposizione. Sono oggetto di reclamo le controversie relative ad avvisi di accertamento o di liquidazione, il provvedimento che irroga le sanzioni, il ruolo, il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti, diniego o revoca di agevolazioni o rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari, ed ogni altro atto emanato dall’agenzia delle entrate per i quali la legge prevede l’autonoma impugnabilità innanzi alle Commissioni tributarie. La presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità al ricorso. Conseguentemente se il contribuente omette di presentare reclamo, l’atto diventa definitivo e non più contestabile successivamente. Il reclamo deve essere presentato alla Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate che ha emanato l’atto entro lo stesso termine previsto per la proposizione del ricorso, cioè 60 giorni dalla notificazione dell’atto impugnato. Con l’istanza il contribuente, oltre a sottoporre in via preventiva alla competente struttura dell’Agenzia delle entrate i motivi per i quali intende chiedere al Giudice tributario l’annullamento totale o parziale dell’atto, può anche formulare una motivazione proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa. Decorsi 90 giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stato conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. Per cui dopo tale termine, decorre il successivo termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio. Accertata l’ammissibilità dell’istanza e verificata l’impossibilità di procedere a un annullamento dell’atto impugnato, l’Ufficio valuta attentamente, anche in assenza di proposta formulata dal contribuente, la sussistenza dei presupposti per la mediazione. In caso di avvenuta mediazione, l’esito del contradditorio viene descritto in un apposito verbale sottoscritto dal contribuente e dal Direttore provinciale o regionale dell’Ufficio. In caso di accordo, il contribuente dovrà effettuare entro il termine di 20 giorni dalla mediazione, il versamento di quanto dovuto, usufruendo della riduzione delle sanzioni amministrative nella misura del 40%. Con il pagamento delle somme dovute, la mediazione si perfeziona.   Ultimo strumento deflativo del contenzioso tributario  è la conciliazione giudiziale prevista per la definizione di controversie per cui pende ricorso. La conciliazione giudiziale è un istituto di natura  processuale ed è proponibile solo nelle controversie tributarie, davanti alla Commissione tributaria provinciale e non  oltre la prima udienza lo stesso ha lo scopo di definire, totalmente o parzialmente,  il giudizio, ad eccezione delle controversie aventi per oggetto la irrogazione delle sanzioni amministrative e, a seguito della introduzione dell’istituto del reclamo/mediazione, quelle di valore non superiore a  ventimila  euro relative ad atti emessi dall’Agenzia delle Entrate e notificati al contribuente a partire dal 1° aprile 2012. Ciascuna delle parti del processo nonché il giudice in corso d’udienza, solo fino alla prima udienza del primo grado di giudizio, può prendere l’iniziativa diretta a concludere una conciliazione giudiziale. A seconda se l’accordo sia concluso nell’ambito giudiziale o al di fuori di questo, la norma distingue due diverse tipologie di conciliazione giudiziale: La conciliazione processuale, in cui, ciascuna delle parti può proporre all’altra la conciliazione totale o parziale della controversia direttamente in udienza, verbalmente o mediante deposito di un testo scritto contenente gli elementi essenziali della proposta, oppure insieme all’istanza di pubblica udienza o con apposita istanza. La conciliazione fuori udienza, in sede extraprocessuale, presentata successivamente con apposita istanza alla Commissione Tributaria Provinciale. Tale proposta deve contenere oltre che l’indicazione della Commissione tributaria adìta e dei dati identificativi delle parti, la manifestazione della volontà di conciliare, la liquidazione dell’imposta, interessi e sanzioni concordate. Se una delle parti ha proposto la conciliazione e questa non è avvenuta durante la prima udienza, la CTP può concedere un termine, non superiore a 60 giorni, per il deposito in segreteria di una proposta di conciliazione. La conciliazione, totale o parziale, si perfeziona con il versamento della somma dovuta o, in caso di pagamento rateale, con il versamento della prima rata, da effettuare entro il termine di 20 giorni dalla redazione del verbale di conciliazione, se la conciliazione avviene in udienza, oppure dalla comunicazione da parte della Segreteria alle parti, se la conciliazione avviene fuori udienza.

Vizi degli atti fiscali